Gabriele D'Annunzio

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Gli anni di formazione
Gabriele nacque a Pescara il 12 marzo 1863, figlio di Francesco Paolo Rapagnetta e di Luisa de Benedictis. Terzo di cinque fratelli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Della madre erediterà la fine sensibilità, del padre il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, cosa che portò la famiglia da una condizione agiata ad una difficile situazione economica. Non tardò a manifestare una personalità priva di complessi e inibizioni, portata al confronto competitivo con la realtà. Una testimonianza ne è la lettera che, ancora sedicenne (1879), scrive a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell'Italia umbertina, mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana Il Fanfulla della Domenica, il successo del libro venne implementato dallo stesso D'Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso. Dopo aver concluso gli studi liceali presso il Liceo Classico G.B.Vico di Chieti, giunse a Roma nel 1881, con una notorietà che andava crescendo.


Il periodo romano
Gabriele D'AnnunzioI dieci anni trascorsi nella capitale (1881-1891) furono decisivi per la formazione dello stile comunicativo di D'Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano della città si formò quello che possiamo definire il nucleo centrale della sua visione del mondo. L'accoglienza nella città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese (Scarfoglio, Michetti, Tosti, Masciantonio, Barbella, ecc.) che fece parlare in seguito di una "Roma bizantina".

La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante - ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee -, una novità "barbarica" eccitante e trasgressiva; D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia" "natura-cultura" offriva alle attese di lettori desiderosi di novità.

D'Annunzio si era dovuto adattare al lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche, ma attratto alla frequentazione della Roma "bene" dal suo gusto per l'esibizione della bellezza e del lusso, nel 1883 sposò, con un matrimonio "di riparazione", nella cappella di Palazzo Altemps a Roma, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli (Mario, Gabriellino e Veniero). Tuttavia, le esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente a fuoco i propri riferimenti culturali, nei quali si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive.

Il primo grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere nel 1889. Venne presto a crearsi un vero e proprio "pubblico dannunziano", condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, un vero e proprio star system ante litteram, che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa.


Fine del periodo romano
Tra il 1891 e il 1893 D'Annunzio visse a Napoli, dove compose il suo secondo romanzo, L'innocente, seguito dal Trionfo della morte e dalle liriche del Poema paradisiaco. Sempre di questo periodo è il suo primo approccio agli scritti di Nietzsche che vennero in buona parte fraintesi, sebbene ebbero l'effetto di liberare la produzione letteraria di D'Annunzio da certi residui moralistici ed etici. Tra il 1893 e il 1897 D'Annunzio intraprese un'esistenza più movimentata che lo condusse dapprima nella sua terra d'origine e poi ad un lungo viaggio in Grecia.

Nel 1897 volle provare l'esperienza politica, vivendo anch'essa, come tutto il resto, in un modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della destra, passò quasi subito nelle file della sinistra, giustificandosi con la celebre affermazione «vado verso la vita».


Sempre nel 1897 iniziò una relazione con la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la stagione centrale della sua vita. Per vivere accanto alla sua nuova compagna, D'Annunzio si trasferì a Settignano, nei dintorni di Firenze, dove affittò la villa "La Capponcina", trasformandola in un monumento del gusto estetico decadente. È in questo periodo che si situa gran parte della drammaturgia dannunziana che è piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro dominanti in Italia e che non di rado ha come punto di riferimento la figura attoriale della Duse.


L'esilio in Francia
L'idillio con la Duse si incrinò nel 1904, dopo la pubblicazione de Il fuoco. Nel 1910 D'Annunzio fuggì in Francia: già da tempo aveva accumulato una serie di debiti e l'unico modo per evitare i creditori era oramai diventato la fuga dall'Italia. L'arredamento della villa fu messo all'asta e D'Annunzio per cinque anni non rientrò in Italia.

A Parigi era un personaggio noto, era stato tradotto da Georges Hérelle e il dibattito tra decadenti e naturalisti aveva a suo tempo suscitato un grosso interesse già con Huysmans. Ciò gli permise di mantenere inalterato il suo dissipato stile di vita fatto di debiti e frequentazioni mondane. Pur lontano dall'Italia collaborò al dibattito politico prebellico, pubblicando versi in celebrazione della guerra di Libia o editoriali per diversi giornali nazionali (in particolare per il Corriere) che a loro volta gli concedevano altri prestiti.

Nel 1910 Corradini aveva organizzato il progetto dell'Associazione Nazionalista Italiana, al quale D'Annunzio aderì inneggiando a una nazione dominata dalla volontà di potenza e opponendosi all' «Italietta meschina e pacifista».

Dopo il periodo parigino si ritirò ad Arcachon, sulla costa Atlantica, dove si dedicò all'attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo (Mascagni, Débussy,...), compose libretti d'opera, soggetti per film (Cabiria).


L'arruolamento nel 1915
Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse da subito una intensa propaganda interventista. Il discorso celebrativo che D'Annunzio pronunciò a Quarto (4 maggio 1915) suscitò entusiastiche manifestazioni interventiste. Con l'entrata in Guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915 (il cosiddetto "maggio radioso"), D'Annunzio si arruolò volontario e partecipò ad alcune azioni dimostrative navali ed aeree. Per un periodo risiedette in quel di Cervignano del Friuli perché così poteva essere vicino al Comando della III Armata, comandante della quale era Emanuale Filiberto di Savoia, Duca d' Aosta, suo amico ed estimatore.

Nel gennaio del 1916, costretto a un atterraggio d'emergenza subì una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopraccigliare, urtando contro la mitragliatrice del suo aereo. Non curò la ferita per un mese e ciò portò alla perdita di un occhio. Visse così un periodo di convalescenza, durante il quale fu assistito dalla figlia Renata. Tuttavia, ben presto tornò in guerra. Contro i consigli dei medici, continuò a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra. In quel periodo compose Notturno utilizzando delle sottili strisce di carta che gli permettevano di scrivere nella più completa oscurità, necessaria per la convalescenza dalla ferita che l'aveva temporaneamente accecato. L'opera venne pubblicata nel 1921 e contiene una serie di ricordi e di osservazioni. Al volgere della guerra, D'Annunzio si fa portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata" e chiedendo, in sintonia con una serie di voci della società e della politica italiana, il rinnovamento della classe dirigente in Italia. La stessa onda di malcontento, trovò ben presto un sostenitore in Benito Mussolini, che di qui al 1924 avrebbe portato all'ascesa del fascismo in Italia.


Il colpo di stato a Fiume
Crisi fiumana:


Vittoria mutilata
Impresa di Fiume
Reggenza italiana del Carnaro
Stato libero di Fiume
Natale di sangue
Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone (ribattezzata, nel 1925, Ronchi dei Legionari in ricordo della storica impresa), all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico.

L'11 e 12 settembre 1919, la crisi di Fiume. La città, occupata dalle truppe alleate, aveva chiesto d'essere annessa all'Italia. D'Annunzio con una colonna di volontari occupò Fiume e vi instaurò il comando del "Quarnaro liberato".

Il 12 novembre 1920 viene stipulato il trattato di Rapallo: Fiume diventa città libera, Zara passa all'Italia. Ma D'Annunzio non accettò l'accordo e il governo italiano, il 26 dicembre 1920, fece sgomberare i legionari con la forza.


Gli ultimi anni. L'esilio a Gardone Riviera
Mussolini e D'AnnunzioDisilluso dall'esperienza da attivista, si ritirò in un'esistenza solitaria nella sua villa di Gardone Riviera, divenuto poi il Vittoriale degli Italiani. Qui lavorò e visse fino alla morte curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale. L'ascendente regime fascista lo celebrò come uno dei massimi e più fecondi letterati d'Italia. Tuttavia i rapporti tra D'Annunzio e Mussolini furono sempre tiepidi e arrivarono persino a momenti di aperto scontro. Uno dei culmini dell'antipatia fra i due si ebbe con la marcia su Roma, che D'Annunzio non sostenne e dalla quale si distanziò. Morì nella sua villa il 1º marzo 1938 per un'emorragia celebrale. Il regime fascista fece celebrare in suo onore i funerali di stato.


Onorificenze e titoli nobiliari w
Principe di Montenevoso




Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia

«Conferita con Regio Decreto n. 72 del 1918»
— 3 giugno 1918
Ufficiale dell'Ordine Militare d'Italia

«Conferita con Regio Decreto n. 87 del 1918»
— 10 novembre 1918

Opere
Primo vere (raccolta poetica, 1879)
Canto novo (raccolta poetica, 1882)
Terra vergine (racconti, 1882)
Il piacere (romanzo, 1889)
Giovanni Episcopo (romanzo, 1891)
L'innocente (romanzo, 1892)
Poema paradisiaco (raccolta poetica, 1893)
Il trionfo della morte (romanzo, 1894)
Le vergini delle rocce (romanzo, 1895)
La città morta (tragedia, 1899)
La Gioconda (tragedia, 1899)
Il fuoco (romanzo, 1900)
Francesca da Rimini (tragedia, 1902)
La figlia di Iorio (dramma, 1903)
Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi (ciclo di raccolte poetiche, 1903-1912)
La fiaccola sotto il moggio (tragedia, 1905)
La nave (tragedia, 1908)
Forse che sì forse che no (1910)
Le martyre de Saint Sébastien (dramma, 1911)
Notturno (prosa autobiografica, 1916)
Il compagno dagli occhi senza cigli (1928)
Le cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire (prosa autobiografica, 1935)


Cinema
Nel 1914 Giovanni Pastrone girò la prima versione del film Cabiria, il primo grande kolossal del cinema delle origini. Con un’astuta strategia promozionale egli ingaggiò d’Annunzio il quale redasse le cosiddette "didascalie vergate" e diede i nomi ai personaggi per un compenso di ben 50.000 lire in oro. L’accordo rimase dietro le quinte e il film fu presentato in sala così: CABIRIA / Visione storica del III secolo a.C. / Film di Gabriele d’Annunzio. La prima proiezione fu un successo spaventoso, anche grazie alla fama del (presunto) autore che rimase tale per anni. Accanto a una quantità di innovazioni tecniche, Cabiria diede una forma visiva a una certa qual retorica colonialista e fu la prima comparsa della figura di Maciste (interpretato dal vigoroso Bartolomeo Pagano), che si inseriva facilmente nel superomismo di alcune opere di d’Annunzio. In un suo saggio Emanuele Podestà espone una serie di analogie tra Cabiria (1914) e Terra Vergine (1882).

Sono numerosi i film che si sono richiamati a delle opere di d’Annunzio o ad alcuni aspetti della sua mitologia personale e letteraria. Le trasposizioni cinematografiche a tutti gli effetti sono meno numerose:

Il delitto di Giovanni Episcopo, regia di Alberto Lattuada (1947), tratto dal romanzo Giovanni Episcopo
L'innocente, regia di Visconti (1976), tratto dall'omonimo romanzo.

Estetica e pensiero dannunziano


Le fonti dell'immaginario d'annunziano: le letture e gli amori [modifica]
Alcune volte la fortuna di cui un autore gode è il frutto di scelte consapevoli, di una capacità strategica di collocarsi nel centro di un sistema culturale che possa garantirgli le migliori opportunità che il suo tempo ha da offrirgli. D'Annunzio aveva cominciato a "immaginarsi" poeta leggendo Giosuè Carducci negli anni del liceo; ma la sua sensibilità per la trasgressione e il successo dal 1885 lo portò ad abbandonare un modello come quello carducciano, già provinciale e superato in confronto a quanto si scriveva e si dibatteva in Francia, culla delle più avanzate correnti di avanguardia - Decadentismo e Simbolismo. Il suo giornale gli assicurava l'arrivo di tutte le riviste letterarie parigine, e attraverso i dibattiti e le recensioni in esse contenuti, D'Annunzio poté programmare le proprie letture cogliendo i momenti culminanti dell'evoluzione letteraria del tempo.

Fu così che conobbe Théophile Gautier, Guy de Maupassant, Max Nordau e soprattutto Joris-Karl Huysmans, il cui romanzo "À rebours" costituì il manifesto europeo dell'estetismo decadente. In un senso più generale, le scelte di D'Annunzio furono condizionate da un utilitarismo che lo spinse non verso ciò che poteva rappresentare un modello di valore "alto", ideale, assoluto, ma verso ciò che si prestava a un riuso immediato e spregiudicato, alla luce di quelli che erano i suoi obiettivi di successo economico e mondano.

D'Annunzio non esitava a "saccheggiare" ciò che colpiva la sua immaginazione e che conteneva quegli elementi utili a soddisfare il gusto borghese ed elitario insieme del "suo pubblico". D'altronde, a dimostrazione del carattere unitario del "mondo dannunziano", è significativo il fatto che egli usò nello stesso modo anche il pensiero filosofico.

Gli autori contemporanei più letti in Europa negli Anni 1880 e 1890 furono senza dubbio Schopenhauer e Nietzsche; da essi lo scrittore trasse non più che spunti e motivi per nutrire un universo di sentimenti e valori che appartenevano già a lui da sempre, e che facevano parte dell'atmosfera culturale che si respirava in un continente agitato da venti di crisi nazionalistiche, preannunzio della Grande guerra. La scelta di nuovi modelli narrativi e soprattutto linguistici - elemento questo fondamentale nella produzione dannunziana - comportò anche, e forse soprattutto, l'attenzione verso nuove ideologie. Ciò favorì lo spostamento del significato educativo e formativo che la cultura positivista aveva attribuito alla figura dello scienziato verso quella dell'artista, diventato il vero "uomo rappresentativo" di fine ottocento - primo novecento: "è più l'artista che fonde i termini che sembrano escludersi: sintetizzare il suo tempo, non fermarsi alla formula, ma creare la vita".

Spregiudicatezza e narcisismo, slanci sentimentali e calcolo furono alla base anche dei rapporti di D'Annunzio con le numerose donne della sua vita. Quella che sicuramente più di ogni altra rappresentò per lo scrittore un nodo intricato di affetti, pulsioni e di artificiose opportunità fu Eleonora Duse, l'attrice di fama internazionale con cui egli si legò dal 1898 al 1901. Non c'è dubbio infatti che a questo nuovo legame debba essere fatto risalire il suo nuovo interesse verso il teatro e la produzione drammaturgica in prosa (Sogno di un mattino di primavera, La città morta, Sogno di un tramonto D'Autunno, La Gioconda, La gloria) e in versi (Francesca da Rimini, La figlia di Jorio, La fiaccola sotto il moggio, La nave e Fedra). In quegli stessi anni, la terra toscana ispirò al poeta la vita del "signore del Rinascimento fra cani, cavalli e belli arredi", e una produzione letteraria che rappresenta il punto più alto raggiunto da D'Annunzio nel repertorio poetico.

Nei cinque libri delle Laudi, che costituiscono l'opera poetica più nota e famosa di D'Annunzio, viene sviluppato il concetto di Superomismo. Sembra un'eccezione l'Alcyone, in cui si riflettono i momenti più felici della sua panica immersione nel paesaggio fiorentino e versiliese e in cui apre la strada al periodo del Notturno, ma questa fusione non è in contrasto con le ideologie dei due precedenti libri, infatti essa può essere raggiunta solo dal "Superuomo" poiché egli è la creatura superiore. L' Alcyone è considerato dalla critica il più autentico di tutto il materiale dannunziano. Un'esistenza segnata, per altro verso, da quell'edonismo sperperatore già menzionato a proposito dell'impronta ricevuta dal padre: incurante della realtà e dei sentimenti altrui, D'Annunzio oscillò tra Firenze e la Versilia curando le proprie pubblicazioni, che non erano comunque sufficienti a coprire le spese del suo esagerato tenore di vita, e intrecciando ripetutamente rapporti sentimentali con diverse donne.

D'Annunzio e Giovanni Pascoli, l'altro grande poeta del Decadentismo italiano, si conoscevano personalmente, e, benché caratterialmente e artisticamente molto diversi, il Vate stimava il collega e recensì positivamente le liriche pascoliane e Pascoli considerava D'Annunzio come il suo fratello minore e maggiore. Alla morte del Pascoli (1912) D'Annunzio gli dedicò l'opera Contemplazione della morte.


Oratoria politica
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Francobollo di Fiume con ritratto di D'Annunzio (1920).Negli anni immediatamente precedenti il Primo conflitto mondiale nella mentalità collettiva e negli ambienti culturali di tutta l’Europa si affermò un diffuso atteggiamento ottimistico e di esaltazione, non di rado accompagnato da contenuti politico-ideologici. Questo stato d’animo generale, legato al clima culturale della Belle époque d’inizio secolo, fu poi ribattezzato Superomismo, sulla base di un’esegesi poi dimostratasi errata dei testi di Nietzsche. D'Annunzio intuì lo smisurato potere che si può trarre dai mezzi di comunicazione di massa e compartecipò a questo fenomeno fino a divenirne uno dei maggiori propugnatori.
Il piacere fisico e gestuale della parola ricercata, della sonorità fine a sé stessa, della materialità del suono proposta come aspetto della sensualità, aveva già caratterizzato la poetica delle "Laudi"; ma con le opere teatrali egli aveva maturato uno stile il cui scopo era conquistare fisicamente il pubblico in un rapporto sempre più diretto e meno letterario. Facendo leva sul “mito di Roma” e su una vasta mitologia nazionale post-risorgimentale, creò un modulo retorico dall’aspetto al contempo combattivo ed elitario: l'abbandono della prosa letteraria e l'immersione nel rito collettivo della guerra si presentò come un tentativo di conquistare la folla, da un lato per dominarla dall’altro per annullarsi in essa, nell’ideale comunione totale tra capo e popolo. E in queste orazioni il popolo prendeva le forme impressionistiche dell’ «umanità agglomerata e palpitante», mentre il capo era un re-filosofo, ora riproposto come profeta della patria.
La retorica bellica di d’Annunzio trovò un largo consenso nella popolazione, affascinata dal suo carisma e dall’aura di misticità che lo circondava. Egli elaborò in questo modo un immaginario per la propaganda interventista, la quale sarà la premessa e il prototipo della propaganda fascista nel primo dopoguerra.

Bibliografia
Mario Praz, La carne la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Firenze, Sansoni, 1948 (terza edizione, la prima è del 1930), ultimo capitolo
Eurialo De Michelis, Tutto D’Annunzio, G.Feltrinelli ed. 1960
Eurialo De Michelis, D’Annunzio a contraggenio. Roma senza lupa, Ist. Nazionale di Studi Romani ed. 1964
Eurialo De Michelis, Gabriele D'Annunzio. La violante dalla bella voce, A. Mondadori ed. 1970
Eurialo De Michelis, Gli anni romani di D’Annunzio, Ist. Nazionale di Studi Romani ed. 1976
Eurialo De Michelis, Roma senza lupa: nuovi studi sul D’Annunzio, Bonacci ed. 1976
Piero Chiara, Vita di Gabriele D'Annunzio, Milano, Arnoldo Mondadori Editore SpA, 1978
Eurialo De Michelis, La figlia di Iorio : tragedia pastorale in tre atti Gabriele D'Annunzio con una cronologia della vita dell'autore e del suo tempo e una bibliografia, A. Mondadori ed. 1980
Eurialo De Michelis, Ancora D'Annunzio, Centro nazionale di studi dannunziani ed. 1987
Eurialo De Michelis, Guida a D'Annunzio, Meynier ed. 1988
Autori vari, La Letteratura italiana vol.16 Parte I, Gabriele D'Annunzio, di Ezio Raimondi, (pag. 1-127), Edizione speciale per il Corriere della Sera, R.C.S. Quotidiani S.p.A., Milano 2005 (Titolo dell'opera originale: Natalino Sapegno ed Emilio Cecchi (diretta da) Storia della letteratura italiana, Garzanti Grandi opere, Milano 2001 e De Agostini Editore, Novara 2005)
Enrico Galmozzi; "Il soggetto senza limite. Interpretazione del dannunzianesimo", Società Editrice Barbarossa, 1994

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