L'infanzia fiorentina (1313 - 1327)
Giovanni Boccaccio nasce in realtà in Toscana, probabilmente a Certaldo (anche se più volte è stata avanzata l'ipotesi dei suoi natali a Firenze) nel 1313, da padre mercante Boccaccino da Chellino, e da madre, si ipotizza di origini umili. Sicuramente nasce fuori dal matrimonio. Boccaccino si sposa con Margherita da Mardoli nel 1319 e un anno dopo nasce il fratellastro Francesco - il matrimonio con Margherita non è probabilmente sentito positivamente dal piccolo Boccaccio, tanto che alcuni critici sostengono un rapporto rancoroso con il padre. Il giovane inizia fin dall'età di sei anni ad apprendere il leggere e lo scrivere, dimostrandosi incline a questa attività, nell' adolescenza Boccaccio studia la letteratura classica, ma soprattutto quella latina, tralasciando di più quella greca, Boccaccio non ebbe un vero e proprio maestro che gli insegnò la letteratura, ma sì formò da solo, grazie alla sua immensa voglia di studiare e di sapere, questo però, gli creò qualche scompenso, infatti non ebbe una formazione letteraria completa.Il padre cerca invano di deviare questa inclinazione letteraria verso la mercatanzia. Mentre Boccaccio iniziava a far progressi e ad appropriarsi della lingua latina, il padre, deciso per il futuro del figlio, lo mandò a Napoli a studiare il mestiere di mercante e di banchiere.
L'adolescenza a Napoli
Andrea del Castagno, Giovanni Boccaccio, Firenze, Galleria degli Uffizi, 1450A Napoli, nel 1327, Boccaccio inizia il suo apprendistato presso la succursale della Compagnia dei Bardi, senza però alcun successo in questo ambito. Dopo circa sei anni di fallimenti, nel 1331 infatti, all'età di diciott'anni, il padre decide dunque di ripiegare su diritto canonico, nella speranza che il figlio possa imparare un mestiere: il maestro di Boccaccio è Cino da Pistoia, noto sia come maestro di diritto, sia come poeta stilnovista. Anche diritto canonico non porta alcun successo: probabilmente infatti Cino da Pistoia eserciterà un maggiore influsso come poeta stilnovista, che come affermato giurista.In questo periodo napoletano lui vive con i nobili e formula su di loro un'ideale che e' lo stesso di Dante che rispecchia gli ideali cortesi.
Boccaccio scriverà nel suo De genealogiis che queste scelte saranno dettate dalla volontà del padre, rammaricandosi di non essere potuto divenire un miglior poeta e scrittore, essendosi dovuto preoccupare di imparare un mestiere a lui odioso; Boccaccio a Napoli conosce un periodo molto bello dovuto alla vita nella corte di Napoli, caratterizzata da sfarzi e ricchezze. Dopo qualche anno però viene richiamato a Firenze dal padre; quest'ultimo infatti subisce un forte tracollo economico a causa del fallimento di alcune banche in cui aveva fatto numerosi investimenti.
Trascorsi questi dodici anni nel tentativo di imparare un mestiere, Boccaccio può finalmente dedicarsi agli studi letterari sotto la guida di alcuni tra i più autorevoli eruditi del tempo, come il bibliotecario e mitologo Paolo da Perugia, l'astronomo Andalò del Negro e i diversi intellettuali della corte angioina.
Dal secondo periodo fiorentino alla morte (1351 - 1375)
In questo periodo Boccaccio rimpiange la vita di corte a Napoli e compone alcune opere come l'Amorosa visione e il Ninfale Fiesolano.
Nel 1360 Innocenzo VI offre a Boccaccio un beneficio ecclesiastico ma i suoi amici cercano di compiere un colpo di stato e quindi non gli vengono più concesse le prebendae. Nel 1361 torna a Certaldo dove rimane fino al 1365 e qui scrive opere in latino di matrice umanistica come la Genealogia Deorum Gentilium ed il Corbaccio scritto in volgare.
Il periodo che va dal 1365 all'anno della sua morte nel 1375 viene denominato "periodo fiorentino-certaldese" dove Boccaccio torna a lavorare per Firenze e cura un'edizione critica delle opere di Dante a cui premette il Trattatello in Laude di Dante. Nel 1370 trascrive un codice autografo del Decameron. Poi commenta e legge in pubblico la Commedia ma non la conclude a causa della sua cattiva salute. E il 21 dicembre del 1375 morì. Sulla sua tomba volle che fosse ricordata la sua passione dominante con la frase: "Studium fuit alma poesis" che significa: sua passione fu l'alma poesia.
Opere
Nella produzione del Boccaccio si possono distinguere le opere della giovinezza, della maturità e della vecchiaia. Ricordiamo tra le opere del periodo toscano Filostrato, Filocolo e Teseida, anche se la sua opera più importante e conosciuta è il Decameron
Busto del Boccaccio presso la Chiesa dei Santi Jacopo e Filippo a Certaldo I protagonisti del Decameron in un dipinto di John William Waterhouse, A Tale from Decameron, 1916, Lady Lever Art Gallery, Liverpool Manoscritto con miscellanea latina, autografo del Boccaccio, Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze
Opere della giovinezza
Tra le sue prime opere vengono ricordate Filocolo (1336-38), Filostrato (1335), Teseida (1339-41), Caccia di Diana (1334/38) e le Rime (la cui composizione rimanda ad anni diversi).
La maturità: il Decameron (1348 - 1353)
Il capolavoro di Boccaccio è il Decameron, il cui titolo fu ricalcato dal trattato Hexameron di sant'Ambrogio. Il libro narra di un gruppo di giovani (sette ragazze e tre ragazzi) che, durante la peste del 1348, si rifugiano sulle colline presso Firenze. Per due settimane, l'«onesta brigata» si intrattiene serenamente con passatempi vari, e in particolare raccontando a turno le novelle. Poiché il venerdì e il sabato non si narrano novelle, queste, disposte in un periodo di dieci giorni come indica in greco il titolo dell'opera (Ta tòn deca emeròn biblìa, ossia I libri (Ta biblìa) delle (tòn) dieci (deka) giornate (emeròn). Per cui la corretta pronunzia del titolo dell'opera è Decameròn - con l'accento tonico grave sull'ultima sillaba, ossia tronco - oppure italianizzato in Decamerone). Quindi il libro è composto da cento novelle.
I nomi dei dieci giovani protagonisti sono: Fiammetta, Filomena, Emilia, Elissa, Lauretta, Neìfile, Pampìnea, Dioneo, Filòstrato e Pànfilo. Ogni giornata ha un re o una regina che stabilisce il tema delle novelle; due giornate però, la prima e la nona, sono a tema libero. L'ordine col quale vengono decantate le novelle durante l'arco della giornata da ciascun giovane è prettamente casuale, ad eccezione di Dioneo (il cui nome deriva da Dione, madre della dea Venere), che solitamente narra per ultimo e non necessariamente sul tema scelto dal re o dalla regina della giornata, risultando così essere una delle eccezioni che Boccaccio inserisce nel suo progetto così preciso e ordinato.
L'opera presenta invece una grande varietà di temi, di ambienti, di personaggi e di toni; si possono individuare come centrali i temi della fortuna, dell'ingegno, della cortesia, dell'amore.
Le novelle sono inserite, come si è detto, in una "cornice" narrativa, di cui costituiscono passi importanti il Proemio e l'Introduzione alla prima giornata, con il racconto della peste, e la Conclusione che offre la risposta dell'autore alle numerose critiche che già circolavano sulla sua opera. La sua originalità ha però avuto seguaci nella storia della letteratura, anche europea, se si considera Geoffrey Chaucer, il quale scrisse i Canterbury Tales (pur incompleto, riprende la struttura del Decameron di Boccaccio). Inoltre nel Seicento Giovan Battista Basile, autore de Lo cunto delli cunti, compose un'opera intitolata Pentamerone, per la struttura formata da cinque giornate e cinquanta storie.
Riguardo alle sue censure, nonostante fosse stato considerato un testo proibito (ciò fin dal 1559), con l'introduzione della stampa il capolavoro del Boccaccio divenne uno dei testi più stampati; intorno al Cinquecento il cardinale Pietro Bembo lo definì il modello perfetto per la prosa volgare.
Dal punto di vista stilistico, presenta un eccellente gioco di simmetrie nel quale rientrano per analogia alcune delle tematiche predilette dal Boccaccio, come per esempio l'amore, la beffa, la fortuna, le peripezie... In particolare già nelle stesse novelle narrate si possono comprendere alcune concezioni dello stesso autore, ma contemporaneamente anche le relazioni tra gli stessi membri della brigata, spesso segnati da interessi amorosi o rivalità. Inoltre le novelle non vengono narrate durante il venerdì e il sabato, mentre nelle altre giornate un re o una regina scelgono il tema sul quale sviluppare delle storie. Come eccezione programmata a tale schema, compare la figura del giovane Dioneo, il quale non è vincolato dal tema proposto per ogni giornata. Infatti l'autore riflette il proprio io, sia su di lui, che su Panfilo e Filostrato (gli altri due ragazzi). I nomi scelti per i ragazzi non risultano nuovi, in quanto compaiono già nelle opere precedenti del Boccaccio.
Opere della vecchiaia
Statua di Boccaccio, Galleria degli Uffizi a FirenzeCorbaccio (o Laberinto d'amore) viene inizialmente datato tra il 1354 e il 1356, calcolando l'età del protagonista (quindi Boccaccio) basandosi sul passo:
« ...E primieramente la tua età, la quale se le tempie già bianche e la canuta barba non mi ingannano, tu dovresti avere li costumi del mondo, fuor delle fasce già sono – degli anni – quaranta, e già sono venticinque cominciatoli a conoscere. »
viene cioè effettuato il calcolo della stesura del Corbaccio sommando quarantuno anni (viene aggiunto un anno perché è l'età alla quale non si è più in fasce) all'anno di nascita di Boccaccio. Il filologo Giorgio Padoan però espone diverse e valide critiche al metodo utilizzato per la datazione dell'opera posticipando al 1365 o 1366 valutando la similitudine con le altre opere di quegli anni, in particolare le Esposizioni sopra la Comedia; a tutt'oggi è ritenuta la datazione più valida.
Riguardo al titolo, il significato di Corbaccio non è mai stato del tutto chiarito, molti studiosi avvalorano la tesi che possa provenire da corvo, viste le molteplici analogie fra l'animale, che prima mangia gli occhi delle proprie vittime per poi cibarsi del cervello, e l'amore che rende prima ciechi e poi privi di senno. A suffragio di questa ipotesi va inoltre menzionato il fatto che ai tempi della stesura del Corbaccio era molto frequente il nesso -rb- in vece di -rv- ed anche nel Corbaccio stesso viene utilizzato il lemma corbo. Altri possibili significati possono essere ricondotti al latino corba-corbis, tra i cui significati vi sono: frusta, scherno, gabbia, giogo; simboli riconducibili alla negativa visione dell'amore nel Corbaccio, anche se però in questo caso ci si aspetterebbe Corbaccia dal momento che corba-corbis è femminile.
La narrazione è incentrata sull'invettiva contro le donne. Il poeta, illuso e rifiutato da una vedova, sogna di giungere in una selva (che richiama il modello dantesco) nella quale gli uomini che sono stati troppo deboli per resistere alle donne vengono trasformati in bestie orribili: il Laberinto d'amore o il Porcile di Venere. Qui incontra il defunto marito della donna che gli ha spezzato il cuore, il quale dopo avergli elencato ogni sorta di difetto femminile, lo spinge ad allontanare ogni suo pensiero da esse lasciando più ampio spazio ai suoi studi, che invece innalzano lo spirito.
Questa satira si basa in particolare sulla concezione medievale (quando addirittura si metteva in dubbio che la donna potesse avere un'anima), e tutto il pensiero giovanile del Boccaccio viene capovolto. La notazione misogina appare in alcuni passi della sua Esposizione sopra la Comedia, ma anteriormente già nella satira VI di Giovenale. Soprattutto nel Decameron, infatti, l'amore era visto al naturale, come forza positiva e incontrastabile e quelle opere stesse erano dedicate proprio alle donne, un pubblico non letterato da allietare con opere gradevoli; ora invece l'amore è visto come causa di degrado e le donne sono respinte in nome delle Muse, emblema di una letteratura più elevata e austera.
Questo capovolgimento è da attribuire in particolar modo ai turbamenti religiosi propri di Boccaccio negli ultimi periodi della sua vita e il trasporto maggiore che egli ebbe per una letteratura di alto livello, i cui destinatari non potevano che essere solo ed esclusivamente dotti.
È importante ricordare anche le opere del Boccaccio in latino: Genealogia Deorum gentilium (1350-1375), Buccolicum carmen (1351-1366), De casibus virorum illustrium (1355-1374), De mulieribus claris (1361-1375), De montibus, silvis, montibus (1355-1374).
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