Giuseppe Ungaretti

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Biografia

Anni giovanili
Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, nel quartiere periferico di Moharem Bey, l' 8 febbraio 1888 (ma venne denunciato all'anagrafe come nato il 10 febbraio, e festeggiò sempre il suo compleanno in quest'ultima data) da genitori lucchesi. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morì due anni dopo la nascita del poeta, nel 1890. La madre, Maria Lunardini, mandò avanti la gestione di un forno di proprietà, con il quale garantì gli studi al figlio, che si poté iscrivere in una delle più prestigiose scuole di Alessandria, la Svizzera École Suisse Jacot.

L'amore per la poesia nacque durante questi anni di scuola e si intensificò grazie alle amicizie che egli strinse nella città egiziana, così ricca di antiche tradizioni come di nuovi stimoli, derivanti dalla presenza di persone provenienti da tanti paesi del mondo; Ungaretti stesso ebbe una balia originaria del Sudan, ed una domestica croata.

In questi anni, attraverso la rivista Mercure de France, il giovane si avvicinò alla letteratura francese e, grazie all'abbonamento a La Voce, alla letteratura italiana: inizia così a leggere le opere, tra gli altri, di Rimbaud, Mallarmé, Leopardi, Nietzsche, Baudelaire, quest'ultimo grazie all'amico Mohammed Sceab.

Ebbe anche uno scambio di lettere con Giuseppe Prezzolini. Nel 1906 conobbe Enrico Pea, da poco tempo emigrato in Egitto, con il quale condivise l'esperienza della "Baracca Rossa", un deposito di marmi e legname dipinto di rosso che divenne sede di incontri per anarchici e socialisti.

Lavorò per qualche tempo come corrispondente commerciale, ma realizzò alcuni investimenti sbagliati; si trasferì poi a Parigi per svolgere gli studi universitari.


Soggiorno in Francia
Nel 1912 Ungaretti, dopo un breve periodo trascorso al Cairo, lasciò l'Egitto e si recò a Parigi. Nel tragitto vide per la prima volta l'Italia ed il suo paesaggio montano. A Parigi frequentò per due anni le lezioni del filosofo Bergson, del filologo Bédier e di Strowschi, alla Sorbonne e al Collège de France.

Venuto a contatto con l'ambiente artistico internazionale, conobbe Apollinaire, con il quale strinse una solida amicizia, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Palazzeschi, Picasso, De Chirico, Modigliani e Braque. Invitato da Papini, Soffici e Palazzeschi iniziò la collaborazione alla rivista Lacerba.

Nel 1913 perse l'amico d'infanzia Sceareb, morto suicida nell'albergo di rue des Carmes, che condivideva con Ungaretti. Nel 1916, all'interno de Il porto sepolto, verrà pubblicata la poesia a lui dedicata, In memoria.

In Francia Ungaretti filtrò le precedenti esperienze, perfezionando le sue conoscenze letterarie e il suo stile poetico. Dopo qualche pubblicazione su Lacerba, decise di partire volontario per la Grande Guerra.


La Grande Guerra
Ungaretti partecipò alla campagna interventista, e quando scoppiò la Prima guerra mondiale si arruolò volontario nel 19° reggimento di fanteria. Combatté sul Carso e in seguito a questa esperienza scrisse le poesie che, raccolte dall'amico Ettore Serra (un giovane ufficiale), vennero stampate in 80 copie presso una tipografia di Udine nel 1916, con il titolo Il porto sepolto. Collaborava a quel tempo anche al giornale di trincea Sempre Avanti.

Ungaretti durante il servizio militareNella primavera del 1918 il reggimento al quale apparteneva Ungaretti andò a combattere in Francia nella zona della Champagne.


Tra le due guerre
Al termine della guerra il poeta rimase a Parigi dapprima come corrispondente del giornale Il Popolo d'Italia, ed in seguito come impiegato all'ufficio stampa dell'ambasciata italiana.

Nel 1919 venne stampata a Parigi la raccolta di poesie francesi La guerre, che sarà poi inserita nella seconda raccolta di poesie Allegria di naufragi pubblicata a Firenze nello stesso anno.

Nel 1920 il poeta sposò Jeanne Dupoix, dalla quale avrà due figli, Anna Maria (o Anna-Maria, come soleva firmare, con trattino alla francese), detta Ninon (17 febbraio 1925) e Antonietto (19 febbraio 1930).

Nel 1921 si trasferì a Marino (Roma) e collaborò all'Ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Gli anni venti segnarono un cambiamento nella vita privata e culturale del poeta. Egli aderì al fascismo firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925.

In questi anni egli svolse una intensa attività su quotidiani e riviste francesi (Commerce e Mesures) e italiane (sulla La Gazzetta del Popolo), e realizzò diversi viaggi in Italia e all'estero per varie conferenze, ottenendo nel frattempo vari riconoscimenti di carattere ufficiale, come il Premio del Gondoliere. Furono questi anche gli anni della maturazione dell'opera Sentimento del Tempo; prime pubblicazioni di alcune sue liriche avvennero su L'Italia letteraria e Commerce. Nel 1923 venne ristampato Il porto sepolto presso La Spezia, con una prefazione di Benito Mussolini, che aveva conosciuto nel 1915, durante la campagna dei socialisti interventisti.

Nel 1928 maturò invece la sua conversione religiosa, evidente nell'opera Sentimento del Tempo.

A partire dal 1931 ebbe l'incarico di inviato speciale per La Gazzetta del Popolo e si recò in Egitto, in Corsica, in Olanda e nell'Italia meridionale, raccogliendo il frutto delle esperienze vissute in Il povero nella città (che sarà pubblicato nel 1949), e nella sua rielaborazione Il deserto e dopo, che vedrà la luce solamente nel 1961. Nel 1933 il poeta aveva raggiunto il massimo della sua fama.

Nel 1936, durante un viaggio in Argentina su invito del Pen Club, gli venne offerta la cattedra di letteratura italiana presso l'Università di San Paolo del Brasile, che Ungaretti accettò; trasferitosi con tutta la famiglia, vi rimarrà fino al 1942. A San Paolo nel 1939 morirà il figlio Antonietto, all'età di nove anni, per un'appendicite mal curata, lasciando il poeta in uno stato di grande prostrazione interiore, evidente in molte delle poesie raccolte ne Il Dolore del 1947 e in Un Grido e Paesaggi del 1952.


La seconda guerra mondiale e il dopoguerra
Nel 1942 Ungaretti ritornò in Italia e venne nominato Accademico d'Italia e «per chiara fama» professore di letteratura moderna e contemporanea presso l'Università di Roma, ruolo che mantenne fino al 1958 e poi, come "fuori ruolo", fino al 1965. Intorno alla sua cattedra si formarono alcuni intellettuali che in seguito si sarebbero distinti per importanti attività culturali e notevoli carriere accademiche, come Leone Piccioni, Luigi Silori, Mario Petrucciani, Guido Barlozzini, Raffaello Brignetti, Ornella Sobrero, Elio Filippo Accrocca.

A partire dal 1942 la casa editrice Mondadori iniziò la pubblicazione dell' opera omnia di Ungaretti, intitolata Vita di un uomo. Nel secondo dopoguerra Ungaretti pubblicò nuove raccolte poetiche, dedicandosi con entusiasmo a quei viaggi che gli davano modo di diffondere il suo messaggio, e ottenendo significativi premi come il Premio Montefeltro nel 1960 e il Premio Etna-Taormina nel 1966.


Gli ultimi anni
In Italia raggiunse una certa notorietà presso il grande pubblico nel 1968, grazie alle sue intense letture televisive di versi dell' Odissea (che precedevano la nota versione italiana del poema omerico per il piccolo schermo, a cura del regista Franco Rossi), e che fecero scoprire la vocazione poetica a Elio Fiore.

Nel 1958 ricevette la cittadinanza onoraria di Cervia . Nel 1969 fondò l'associazione Rome et son histoire.

Nella notte tra il 31 dicembre 1969 e il 1° gennaio 1970 scrisse l'ultima poesia, L'Impietrito e il Velluto, pubblicata in una cartella litografica il giorno dell'ottantaduesimo compleanno del poeta.

Nel 1970 conseguì un prestigioso premio internazionale dell'università dell'Oklahoma, negli Stati Uniti, dove si recò per il suo ultimo viaggio che debilitò definitivamente la sua pur solida fibra. Morì a Milano nella notte tra il 1° e il 2 giugno 1970. Il 4 giugno si svolse il suo funerale a Roma, nella Chiesa di San Lorenzo fuori le Mura, ma non vi partecipò alcuna rappresentanza ufficiale del Governo italiano.


Poetica
L'Allegria segna un momento chiave della storia della letteratura italiana: Ungaretti rielabora in modo molto originale il messaggio formale dei simbolisti (in particolare dei versi spezzati e senza punteggiatura dei Calligrammes di Guillaume Apollinaire), coniugandolo con l'esperienza atroce del male e della morte nella guerra. Al desiderio di fraternità nel dolore si associa la volontà di ricercare una nuova "armonia" con il cosmo[8] che culmina nella citata poesia Mattina (1917). Questo spirito mistico-religioso si evolverà nella conversione in Sentimento del Tempo e nelle opere successive, dove l'attenzione stilistica al valore della parola (e al recupero delle radici della nostra tradizione letteraria), indica nei versi poetici l'unica possibilità dell'uomo, o una delle poche possibili, per salvarsi dall' "universale naufragio".

Il momento più drammatico del cammino di questa vita d'un uomo (così, come un "diario", definisce l'autore la sua opera complessiva) è sicuramente raccontato ne Il Dolore: la morte in Brasile del figlioletto Antonio, che segna definitivamente il pianto dentro del poeta anche nelle raccolte successive, e che non cesserà più d'accompagnarlo. Solo delle brevi parentesi di luce gli sono consentite, come la passione per la giovanissima poetessa brasiliana Bruma Bianco, o i ricordi d'infanzia ne I Taccuini del Vecchio, o quando rievoca gli sguardi d'universo di Dunja, anziana tata che la madre aveva accolto nella loro casa d'Alessandria:[9]

« Il velluto dello sguardo di Dunja
Fulmineo torna presente pietà »
(da L'Impietrito e il Velluto, 1970)


Opere principali

Poesia
II Porto Sepolto, Stabilimento tipografico friulano, Udine, 1917;
Allegria di naufragi, Vallecchi, Firenze, 1919;
Il Porto Sepolto Stamperia Apuana, La Spezia, 1923;
L'Allegria, Preda, Milano, 1931;
Sentimento del Tempo, Vallecchi, Firenze, 1933;
La guerra, I edizione italiana, Milano, 1947;
Il Dolore, Milano, 1947;
Demiers Jours. 1919, Milano, 1947;
Gridasti: Soffoco..., Milano, 1950;
La Terra Promessa, Milano, 1950;
Un grido e Paesaggi, Milano, 1952;
Les Cinq livres, texte francais etabli par l'auteur et Jean Lescure. Quelques reflexions de l'auteur, Paris, 1954;
Poesie disperse (1915-1927), Milano, 1959;
Il Taccuino del Vecchio, Milano, 1960;
Dialogo, Milano, 1968;
Vita d'un uomo. Tutte le poesie, Milano, 1969.

TRISTEZZA

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Tristezza, tu discendi oggi dal Sole.
La tua specie mutevole è la nube
del cielo, e son le spume
del mare gli orli del tuo lino lungo.

Sembri Ermione, sola come lei
che pel silenzio vienti incontro sola
traendo in guisa d'ala il bianco lembo.
Sì le somigli, ch'io m'ingannerei
se non vedessi ciocca di viola
su la sua gota umida ancor del nembo.
Ha tante rose in grembo
che la spina dell'ultima le punge
il mento e glie l'ingemma d'un granato.
Come fauno barbato
accosto accosto mòrdica le rose
il capricorno sordido e bisulco.

IL VULTURE DEL SOLE

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S'io pensi o sogni, se tal volta io veda
quasi vampa tremar l'aria salina,
se nel silenzio oda piombar la pina
sorda, strider la ragia nella teda,

sonar sul loto la palustre auleda,
istrepire il falasco e la saggina,
subitamente del mio cor rapina
tu fai, di me che palpito fai preda,

o Gloria, o Gloria, vulture del Sole,
che su me ti precipiti e m'artigli
sin nel focace lito ove m'ascondo!

Levo la faccia, mentre il cor mi duole,
e pel rossore dè miei chiusi cigli
veggo del sangue mio splendere il mondo.

LA SABBIA DEL TEMPO

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Come scorrea la calda sabbia lieve
per entro il cavo della mano in ozio
in cor sentì che il giorno era più breve.

E un’ansia repentina il cor m’assale
per l’appressar dell’umido equinozio
che offusca l’oro delle piagge salse.

Alla sabbia del Tempo urna la mano
era, clessidra il cor mio palpitante,
l’ombra crescente di ogni stelo vano
quasi ombra d’ago in tacito quadrante.

LA SERA FIESOLANA

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Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscio che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.
Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l’acqua del cielo!
Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
trepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l’aura che si perde,
e sul grano che non è biondo ancora
e non è verde,
e sul fieno che già patì la falce
e trasloca,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.
Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!
Io ti dirò verso quali reami
d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l’ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le coline su i limpidi orizzonti
s’incurvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l’anima le possa amare
d’amore più forte.
Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!

LA PIOGGIA NEL PINETO

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Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, mmen rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.



Famosissima poesia che D' Annunzio dedicò alla donna che amava: Ermione.

Gabriele D'Annunzio

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Gli anni di formazione
Gabriele nacque a Pescara il 12 marzo 1863, figlio di Francesco Paolo Rapagnetta e di Luisa de Benedictis. Terzo di cinque fratelli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Della madre erediterà la fine sensibilità, del padre il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel contrarre debiti, cosa che portò la famiglia da una condizione agiata ad una difficile situazione economica. Non tardò a manifestare una personalità priva di complessi e inibizioni, portata al confronto competitivo con la realtà. Una testimonianza ne è la lettera che, ancora sedicenne (1879), scrive a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell'Italia umbertina, mentre frequenta il liceo al prestigioso istituto Cicognini di Prato. Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un'entusiastica recensione critica sulla rivista romana Il Fanfulla della Domenica, il successo del libro venne implementato dallo stesso D'Annunzio con un espediente: fece diffondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l'effetto di richiamare l'attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso. Dopo aver concluso gli studi liceali presso il Liceo Classico G.B.Vico di Chieti, giunse a Roma nel 1881, con una notorietà che andava crescendo.


Il periodo romano
Gabriele D'AnnunzioI dieci anni trascorsi nella capitale (1881-1891) furono decisivi per la formazione dello stile comunicativo di D'Annunzio, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano della città si formò quello che possiamo definire il nucleo centrale della sua visione del mondo. L'accoglienza nella città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese (Scarfoglio, Michetti, Tosti, Masciantonio, Barbella, ecc.) che fece parlare in seguito di una "Roma bizantina".

La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante - ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee -, una novità "barbarica" eccitante e trasgressiva; D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia" "natura-cultura" offriva alle attese di lettori desiderosi di novità.

D'Annunzio si era dovuto adattare al lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche, ma attratto alla frequentazione della Roma "bene" dal suo gusto per l'esibizione della bellezza e del lusso, nel 1883 sposò, con un matrimonio "di riparazione", nella cappella di Palazzo Altemps a Roma, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli (Mario, Gabriellino e Veniero). Tuttavia, le esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente a fuoco i propri riferimenti culturali, nei quali si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive.

Il primo grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere nel 1889. Venne presto a crearsi un vero e proprio "pubblico dannunziano", condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, un vero e proprio star system ante litteram, che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa.


Fine del periodo romano
Tra il 1891 e il 1893 D'Annunzio visse a Napoli, dove compose il suo secondo romanzo, L'innocente, seguito dal Trionfo della morte e dalle liriche del Poema paradisiaco. Sempre di questo periodo è il suo primo approccio agli scritti di Nietzsche che vennero in buona parte fraintesi, sebbene ebbero l'effetto di liberare la produzione letteraria di D'Annunzio da certi residui moralistici ed etici. Tra il 1893 e il 1897 D'Annunzio intraprese un'esistenza più movimentata che lo condusse dapprima nella sua terra d'origine e poi ad un lungo viaggio in Grecia.

Nel 1897 volle provare l'esperienza politica, vivendo anch'essa, come tutto il resto, in un modo bizzarro e clamoroso: eletto deputato della destra, passò quasi subito nelle file della sinistra, giustificandosi con la celebre affermazione «vado verso la vita».


Sempre nel 1897 iniziò una relazione con la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la stagione centrale della sua vita. Per vivere accanto alla sua nuova compagna, D'Annunzio si trasferì a Settignano, nei dintorni di Firenze, dove affittò la villa "La Capponcina", trasformandola in un monumento del gusto estetico decadente. È in questo periodo che si situa gran parte della drammaturgia dannunziana che è piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro dominanti in Italia e che non di rado ha come punto di riferimento la figura attoriale della Duse.


L'esilio in Francia
L'idillio con la Duse si incrinò nel 1904, dopo la pubblicazione de Il fuoco. Nel 1910 D'Annunzio fuggì in Francia: già da tempo aveva accumulato una serie di debiti e l'unico modo per evitare i creditori era oramai diventato la fuga dall'Italia. L'arredamento della villa fu messo all'asta e D'Annunzio per cinque anni non rientrò in Italia.

A Parigi era un personaggio noto, era stato tradotto da Georges Hérelle e il dibattito tra decadenti e naturalisti aveva a suo tempo suscitato un grosso interesse già con Huysmans. Ciò gli permise di mantenere inalterato il suo dissipato stile di vita fatto di debiti e frequentazioni mondane. Pur lontano dall'Italia collaborò al dibattito politico prebellico, pubblicando versi in celebrazione della guerra di Libia o editoriali per diversi giornali nazionali (in particolare per il Corriere) che a loro volta gli concedevano altri prestiti.

Nel 1910 Corradini aveva organizzato il progetto dell'Associazione Nazionalista Italiana, al quale D'Annunzio aderì inneggiando a una nazione dominata dalla volontà di potenza e opponendosi all' «Italietta meschina e pacifista».

Dopo il periodo parigino si ritirò ad Arcachon, sulla costa Atlantica, dove si dedicò all'attività letteraria in collaborazione con musicisti di successo (Mascagni, Débussy,...), compose libretti d'opera, soggetti per film (Cabiria).


L'arruolamento nel 1915
Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse da subito una intensa propaganda interventista. Il discorso celebrativo che D'Annunzio pronunciò a Quarto (4 maggio 1915) suscitò entusiastiche manifestazioni interventiste. Con l'entrata in Guerra dell'Italia, il 24 maggio 1915 (il cosiddetto "maggio radioso"), D'Annunzio si arruolò volontario e partecipò ad alcune azioni dimostrative navali ed aeree. Per un periodo risiedette in quel di Cervignano del Friuli perché così poteva essere vicino al Comando della III Armata, comandante della quale era Emanuale Filiberto di Savoia, Duca d' Aosta, suo amico ed estimatore.

Nel gennaio del 1916, costretto a un atterraggio d'emergenza subì una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopraccigliare, urtando contro la mitragliatrice del suo aereo. Non curò la ferita per un mese e ciò portò alla perdita di un occhio. Visse così un periodo di convalescenza, durante il quale fu assistito dalla figlia Renata. Tuttavia, ben presto tornò in guerra. Contro i consigli dei medici, continuò a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra. In quel periodo compose Notturno utilizzando delle sottili strisce di carta che gli permettevano di scrivere nella più completa oscurità, necessaria per la convalescenza dalla ferita che l'aveva temporaneamente accecato. L'opera venne pubblicata nel 1921 e contiene una serie di ricordi e di osservazioni. Al volgere della guerra, D'Annunzio si fa portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata" e chiedendo, in sintonia con una serie di voci della società e della politica italiana, il rinnovamento della classe dirigente in Italia. La stessa onda di malcontento, trovò ben presto un sostenitore in Benito Mussolini, che di qui al 1924 avrebbe portato all'ascesa del fascismo in Italia.


Il colpo di stato a Fiume
Crisi fiumana:


Vittoria mutilata
Impresa di Fiume
Reggenza italiana del Carnaro
Stato libero di Fiume
Natale di sangue
Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone (ribattezzata, nel 1925, Ronchi dei Legionari in ricordo della storica impresa), all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico.

L'11 e 12 settembre 1919, la crisi di Fiume. La città, occupata dalle truppe alleate, aveva chiesto d'essere annessa all'Italia. D'Annunzio con una colonna di volontari occupò Fiume e vi instaurò il comando del "Quarnaro liberato".

Il 12 novembre 1920 viene stipulato il trattato di Rapallo: Fiume diventa città libera, Zara passa all'Italia. Ma D'Annunzio non accettò l'accordo e il governo italiano, il 26 dicembre 1920, fece sgomberare i legionari con la forza.


Gli ultimi anni. L'esilio a Gardone Riviera
Mussolini e D'AnnunzioDisilluso dall'esperienza da attivista, si ritirò in un'esistenza solitaria nella sua villa di Gardone Riviera, divenuto poi il Vittoriale degli Italiani. Qui lavorò e visse fino alla morte curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale. L'ascendente regime fascista lo celebrò come uno dei massimi e più fecondi letterati d'Italia. Tuttavia i rapporti tra D'Annunzio e Mussolini furono sempre tiepidi e arrivarono persino a momenti di aperto scontro. Uno dei culmini dell'antipatia fra i due si ebbe con la marcia su Roma, che D'Annunzio non sostenne e dalla quale si distanziò. Morì nella sua villa il 1º marzo 1938 per un'emorragia celebrale. Il regime fascista fece celebrare in suo onore i funerali di stato.


Onorificenze e titoli nobiliari w
Principe di Montenevoso




Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia

«Conferita con Regio Decreto n. 72 del 1918»
— 3 giugno 1918
Ufficiale dell'Ordine Militare d'Italia

«Conferita con Regio Decreto n. 87 del 1918»
— 10 novembre 1918

Opere
Primo vere (raccolta poetica, 1879)
Canto novo (raccolta poetica, 1882)
Terra vergine (racconti, 1882)
Il piacere (romanzo, 1889)
Giovanni Episcopo (romanzo, 1891)
L'innocente (romanzo, 1892)
Poema paradisiaco (raccolta poetica, 1893)
Il trionfo della morte (romanzo, 1894)
Le vergini delle rocce (romanzo, 1895)
La città morta (tragedia, 1899)
La Gioconda (tragedia, 1899)
Il fuoco (romanzo, 1900)
Francesca da Rimini (tragedia, 1902)
La figlia di Iorio (dramma, 1903)
Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi (ciclo di raccolte poetiche, 1903-1912)
La fiaccola sotto il moggio (tragedia, 1905)
La nave (tragedia, 1908)
Forse che sì forse che no (1910)
Le martyre de Saint Sébastien (dramma, 1911)
Notturno (prosa autobiografica, 1916)
Il compagno dagli occhi senza cigli (1928)
Le cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire (prosa autobiografica, 1935)


Cinema
Nel 1914 Giovanni Pastrone girò la prima versione del film Cabiria, il primo grande kolossal del cinema delle origini. Con un’astuta strategia promozionale egli ingaggiò d’Annunzio il quale redasse le cosiddette "didascalie vergate" e diede i nomi ai personaggi per un compenso di ben 50.000 lire in oro. L’accordo rimase dietro le quinte e il film fu presentato in sala così: CABIRIA / Visione storica del III secolo a.C. / Film di Gabriele d’Annunzio. La prima proiezione fu un successo spaventoso, anche grazie alla fama del (presunto) autore che rimase tale per anni. Accanto a una quantità di innovazioni tecniche, Cabiria diede una forma visiva a una certa qual retorica colonialista e fu la prima comparsa della figura di Maciste (interpretato dal vigoroso Bartolomeo Pagano), che si inseriva facilmente nel superomismo di alcune opere di d’Annunzio. In un suo saggio Emanuele Podestà espone una serie di analogie tra Cabiria (1914) e Terra Vergine (1882).

Sono numerosi i film che si sono richiamati a delle opere di d’Annunzio o ad alcuni aspetti della sua mitologia personale e letteraria. Le trasposizioni cinematografiche a tutti gli effetti sono meno numerose:

Il delitto di Giovanni Episcopo, regia di Alberto Lattuada (1947), tratto dal romanzo Giovanni Episcopo
L'innocente, regia di Visconti (1976), tratto dall'omonimo romanzo.

Estetica e pensiero dannunziano


Le fonti dell'immaginario d'annunziano: le letture e gli amori [modifica]
Alcune volte la fortuna di cui un autore gode è il frutto di scelte consapevoli, di una capacità strategica di collocarsi nel centro di un sistema culturale che possa garantirgli le migliori opportunità che il suo tempo ha da offrirgli. D'Annunzio aveva cominciato a "immaginarsi" poeta leggendo Giosuè Carducci negli anni del liceo; ma la sua sensibilità per la trasgressione e il successo dal 1885 lo portò ad abbandonare un modello come quello carducciano, già provinciale e superato in confronto a quanto si scriveva e si dibatteva in Francia, culla delle più avanzate correnti di avanguardia - Decadentismo e Simbolismo. Il suo giornale gli assicurava l'arrivo di tutte le riviste letterarie parigine, e attraverso i dibattiti e le recensioni in esse contenuti, D'Annunzio poté programmare le proprie letture cogliendo i momenti culminanti dell'evoluzione letteraria del tempo.

Fu così che conobbe Théophile Gautier, Guy de Maupassant, Max Nordau e soprattutto Joris-Karl Huysmans, il cui romanzo "À rebours" costituì il manifesto europeo dell'estetismo decadente. In un senso più generale, le scelte di D'Annunzio furono condizionate da un utilitarismo che lo spinse non verso ciò che poteva rappresentare un modello di valore "alto", ideale, assoluto, ma verso ciò che si prestava a un riuso immediato e spregiudicato, alla luce di quelli che erano i suoi obiettivi di successo economico e mondano.

D'Annunzio non esitava a "saccheggiare" ciò che colpiva la sua immaginazione e che conteneva quegli elementi utili a soddisfare il gusto borghese ed elitario insieme del "suo pubblico". D'altronde, a dimostrazione del carattere unitario del "mondo dannunziano", è significativo il fatto che egli usò nello stesso modo anche il pensiero filosofico.

Gli autori contemporanei più letti in Europa negli Anni 1880 e 1890 furono senza dubbio Schopenhauer e Nietzsche; da essi lo scrittore trasse non più che spunti e motivi per nutrire un universo di sentimenti e valori che appartenevano già a lui da sempre, e che facevano parte dell'atmosfera culturale che si respirava in un continente agitato da venti di crisi nazionalistiche, preannunzio della Grande guerra. La scelta di nuovi modelli narrativi e soprattutto linguistici - elemento questo fondamentale nella produzione dannunziana - comportò anche, e forse soprattutto, l'attenzione verso nuove ideologie. Ciò favorì lo spostamento del significato educativo e formativo che la cultura positivista aveva attribuito alla figura dello scienziato verso quella dell'artista, diventato il vero "uomo rappresentativo" di fine ottocento - primo novecento: "è più l'artista che fonde i termini che sembrano escludersi: sintetizzare il suo tempo, non fermarsi alla formula, ma creare la vita".

Spregiudicatezza e narcisismo, slanci sentimentali e calcolo furono alla base anche dei rapporti di D'Annunzio con le numerose donne della sua vita. Quella che sicuramente più di ogni altra rappresentò per lo scrittore un nodo intricato di affetti, pulsioni e di artificiose opportunità fu Eleonora Duse, l'attrice di fama internazionale con cui egli si legò dal 1898 al 1901. Non c'è dubbio infatti che a questo nuovo legame debba essere fatto risalire il suo nuovo interesse verso il teatro e la produzione drammaturgica in prosa (Sogno di un mattino di primavera, La città morta, Sogno di un tramonto D'Autunno, La Gioconda, La gloria) e in versi (Francesca da Rimini, La figlia di Jorio, La fiaccola sotto il moggio, La nave e Fedra). In quegli stessi anni, la terra toscana ispirò al poeta la vita del "signore del Rinascimento fra cani, cavalli e belli arredi", e una produzione letteraria che rappresenta il punto più alto raggiunto da D'Annunzio nel repertorio poetico.

Nei cinque libri delle Laudi, che costituiscono l'opera poetica più nota e famosa di D'Annunzio, viene sviluppato il concetto di Superomismo. Sembra un'eccezione l'Alcyone, in cui si riflettono i momenti più felici della sua panica immersione nel paesaggio fiorentino e versiliese e in cui apre la strada al periodo del Notturno, ma questa fusione non è in contrasto con le ideologie dei due precedenti libri, infatti essa può essere raggiunta solo dal "Superuomo" poiché egli è la creatura superiore. L' Alcyone è considerato dalla critica il più autentico di tutto il materiale dannunziano. Un'esistenza segnata, per altro verso, da quell'edonismo sperperatore già menzionato a proposito dell'impronta ricevuta dal padre: incurante della realtà e dei sentimenti altrui, D'Annunzio oscillò tra Firenze e la Versilia curando le proprie pubblicazioni, che non erano comunque sufficienti a coprire le spese del suo esagerato tenore di vita, e intrecciando ripetutamente rapporti sentimentali con diverse donne.

D'Annunzio e Giovanni Pascoli, l'altro grande poeta del Decadentismo italiano, si conoscevano personalmente, e, benché caratterialmente e artisticamente molto diversi, il Vate stimava il collega e recensì positivamente le liriche pascoliane e Pascoli considerava D'Annunzio come il suo fratello minore e maggiore. Alla morte del Pascoli (1912) D'Annunzio gli dedicò l'opera Contemplazione della morte.


Oratoria politica
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Francobollo di Fiume con ritratto di D'Annunzio (1920).Negli anni immediatamente precedenti il Primo conflitto mondiale nella mentalità collettiva e negli ambienti culturali di tutta l’Europa si affermò un diffuso atteggiamento ottimistico e di esaltazione, non di rado accompagnato da contenuti politico-ideologici. Questo stato d’animo generale, legato al clima culturale della Belle époque d’inizio secolo, fu poi ribattezzato Superomismo, sulla base di un’esegesi poi dimostratasi errata dei testi di Nietzsche. D'Annunzio intuì lo smisurato potere che si può trarre dai mezzi di comunicazione di massa e compartecipò a questo fenomeno fino a divenirne uno dei maggiori propugnatori.
Il piacere fisico e gestuale della parola ricercata, della sonorità fine a sé stessa, della materialità del suono proposta come aspetto della sensualità, aveva già caratterizzato la poetica delle "Laudi"; ma con le opere teatrali egli aveva maturato uno stile il cui scopo era conquistare fisicamente il pubblico in un rapporto sempre più diretto e meno letterario. Facendo leva sul “mito di Roma” e su una vasta mitologia nazionale post-risorgimentale, creò un modulo retorico dall’aspetto al contempo combattivo ed elitario: l'abbandono della prosa letteraria e l'immersione nel rito collettivo della guerra si presentò come un tentativo di conquistare la folla, da un lato per dominarla dall’altro per annullarsi in essa, nell’ideale comunione totale tra capo e popolo. E in queste orazioni il popolo prendeva le forme impressionistiche dell’ «umanità agglomerata e palpitante», mentre il capo era un re-filosofo, ora riproposto come profeta della patria.
La retorica bellica di d’Annunzio trovò un largo consenso nella popolazione, affascinata dal suo carisma e dall’aura di misticità che lo circondava. Egli elaborò in questo modo un immaginario per la propaganda interventista, la quale sarà la premessa e il prototipo della propaganda fascista nel primo dopoguerra.

Bibliografia
Mario Praz, La carne la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Firenze, Sansoni, 1948 (terza edizione, la prima è del 1930), ultimo capitolo
Eurialo De Michelis, Tutto D’Annunzio, G.Feltrinelli ed. 1960
Eurialo De Michelis, D’Annunzio a contraggenio. Roma senza lupa, Ist. Nazionale di Studi Romani ed. 1964
Eurialo De Michelis, Gabriele D'Annunzio. La violante dalla bella voce, A. Mondadori ed. 1970
Eurialo De Michelis, Gli anni romani di D’Annunzio, Ist. Nazionale di Studi Romani ed. 1976
Eurialo De Michelis, Roma senza lupa: nuovi studi sul D’Annunzio, Bonacci ed. 1976
Piero Chiara, Vita di Gabriele D'Annunzio, Milano, Arnoldo Mondadori Editore SpA, 1978
Eurialo De Michelis, La figlia di Iorio : tragedia pastorale in tre atti Gabriele D'Annunzio con una cronologia della vita dell'autore e del suo tempo e una bibliografia, A. Mondadori ed. 1980
Eurialo De Michelis, Ancora D'Annunzio, Centro nazionale di studi dannunziani ed. 1987
Eurialo De Michelis, Guida a D'Annunzio, Meynier ed. 1988
Autori vari, La Letteratura italiana vol.16 Parte I, Gabriele D'Annunzio, di Ezio Raimondi, (pag. 1-127), Edizione speciale per il Corriere della Sera, R.C.S. Quotidiani S.p.A., Milano 2005 (Titolo dell'opera originale: Natalino Sapegno ed Emilio Cecchi (diretta da) Storia della letteratura italiana, Garzanti Grandi opere, Milano 2001 e De Agostini Editore, Novara 2005)
Enrico Galmozzi; "Il soggetto senza limite. Interpretazione del dannunzianesimo", Società Editrice Barbarossa, 1994